Bosco Sacro

All'interno del Parco fu costruito un altro viale alberato che lo tagliava trasversalmente per collegare a piedi Palazzo Ranghiasci al Villino. In omaggio al bosco monastico di S. Luca lo abbiamo chiamato viale del Bosco sacro. Serviva anche a raggiungere il Tempietto e l'antistante giardino attraverso un sentiero che si immette nel punto che ospita i lecci più antichi, alcuni bicentenari, sotto i quali si gode una bella vista del Palazzo dei Consoli.

In questo punto, a parte qualche acero, frassino e tiglio, di scarsa rilevanza ambientale, caratterizzante è proprio la presenza del gruppo di splendidi lecci, in particolare quelli addossati verso il muro di cinta del parco. Il più maestoso, di 320 centimetri di circonferenza, sovrasta tutti gli altri che hanno pur sempre tronchi di tre metri di circonferenza, denotando un'età ben superiore al periodo di costruzione del parco.

Il bosco monastico mantenne il significato simbolico di bosco sacro come evoluzione culturale del lucus romano, che corrispondeva ad un particolare biotopo caratterizzato da peculiari doti di naturalità, salubrità, posizione, freschezza, mitezza del clima ed esteticità.

I monaci medievali entro le mura dei monasteri ripresero il concetto del bosco sacro come sito dove poter passeggiare, sostare, meditare, dove poter rivivere lo stato eremitico primordiale pur vivendo nella comunità cenobitica.

Sulle spinte riformistiche del Xll secolo nella progettazione dei monasteri il bosco ebbe un ruolo primario: molti cenobi furono edificati in luoghi appartati e laddove era possibile un lembo di bosco veniva sempre incluso o ricreato dentro le mura monastiche.


Sebbene anomalo rispetto alle formazioni forestali naturali perché chiuso e circoscritto da un recinto di pietra, ricalcava comunque, simbolicamente, le ben più ampie foreste esterne e consentiva il diretto contatto del monaco con la natura.


I pianori che rappresentano l'ultimo livello del parco si trovano a sinistra e a destra del Ridotto delle mura, di cui costituiscono parte integrante collegati attraverso una scarpata abitata da alcune essenze arboree, più agricole, tra cui olmi e ciliegi.



A destra del Ridotto, a quota 558 metri si trovava un pianoro, che fino a pochi decenni indietro era destinato ad oliveto e a vigna, tagliato da un viale centrale coperto a pergola.


A sinistra del Ridotto si trova un altro pianoro, anche questo un tempo adibito a coltivo con viti ed olivi, oggi ricollocativi per recuperare la funzione storica del sito, pur in un'ottica diversa di fruizione. Tuttavia sono rimasti esempi della vegetazione arborea spontanea con lecci, frassini, ciliegi selvatici, ciliegi canini, alaterni che qui trovano un habitat ideale, per la posizione aperta e soleggiata. E' da rimarcare la presenza di un gruppo di roverelle che formano un bel boschetto addossato alle mura.


Sinteticamente nel patrimonio forestale del Parco, tenendo conto delle dinamiche vegetazionali che lo hanno contraddistinto si possono ritrovare:

  • lembi di vegetazione naturale, in sintonia con le potenzialità ecologiche del sito, individuabili nella concomitante presenza di lecci, roverelle, frassini, carpini neri, ciliegi canini, alaterni, viburni;
  • lembi di precedenti destinazioni d'uso, documentate dalla contemporanea presenza di aceri campestri, frassini, olivi, ciliegi, olmi, noccioli e perfino castagni;
  • lembi di flora arborea ornamentale, destinata all'alberatura dei viali o con funzione prettamente decorativa, costituita da ippocastani, tigli, allori, cipressi, più qualche acero riccio e il bosso.

Pertanto si può identificare l'elemento distintivo del Parco proprio in quel particolare alternarsi, per buona parte adottato già come impianto iniziale, di flora rustica, tipica per ambiente fitoclimatico, con altra più ornamentale a funzione soltanto coprente. L'ippocastano e il tiglio, in ultima analisi, sono le sole specie non autoctone con cui è stato fondamentalmente realizzato tutto l'impianto arboreo dei viali.