I Documenti

Dai documenti esaminati a tutt'oggi si è potuto stabilire due cose certissime: la prima, che gli acquisti riguardanti l'area occupata del parco furono fatti da Ranghiasci dopo il matrimonio con Matilde Hobhouse; la seconda, che il giardino prende esempio da modelli inglesi e neoclassici, con struggenti e pittoresche vedute.

Il Lucarelli rammenta come allo stesso Ranghiasci sia dovuta la sistemazione su più livelli del parco. L'area difatti è disposta in una lunga striscia a rettangolo e degradante, confinante con le antiche mura cittadine a monte e con un muro di contenimento fatto costruire dal proprietario a valle, limitrofo a via della Ripa.


Il conte, già proprietario degli orti dei Galeotti, pur non senza difficoltà, ottiene nel 1831 dal Comune la chiusura di un vicolo retrostante il palazzo sito tra quei terreni che diverranno casi luogo di comunicazione, da ultimo sotterraneo, con il grande parco. Accesso questo rigorosamente privato, contrariamente all'altro che ancora oggi si affaccia sull'attuale via Gabrielli, chiuso da un grande cancello ottocentesco. In quel periodo attraverso una serie di viali ellittici si accedeva al centro del giardino, comodamente seduti su una carrozza dalla quale si poteva ammirare il panorama della città.

Gli acquisti della terra destinata al parco iniziano Cosi il 7 dicembre 1831, quando Ranghiasci compra una piccola vigna con orto senza casa, posta nel quartiere di San Giuliano da Tomaso di Felice; il notaio Antonio Perugini registra acquisti successivi da parte del nobiluomo, avvenuti dal 7 dicembre 1833 fino al 1848.


In particolare è del 1833 l'acquisto dal Seminario di una vigna con casa padronale posta nel quartiere di San Giuliano. Questo atto riveste importanza perché è l'unico in cui compare un esplicito riferimento alla costruzione del parco: "[...] e in area di affermazione al sito acquisito, che vuò ridurlo a deliziosa villa a piacere della sua nobile famiglia".

Nel 1834, Ranghiasci, acquista addirittura una casa da cielo a terra di più vani con torre e oratorio interno, situata in via della Ripa con "annessi gli orti del medesimo signor Roseti".


Il 24 maggio è la volta di un piccolo orto di proprietà di Porzia Panichi. li 17 settembre dello stesso anno prende poi una casa e un orto posseduti da Angela Fonti, moglie del marchese Giuseppe Benveduti. Nello stesso anno oltre ad acquistare vari immobili compra il 3 settembre una casa diruta da Francesco Massi Maestro muratore", sempre in Via degli Orti; il 30 marzo 1835 acquista una casa con orto da Ubaldo Agostinucci, sempre in via della Ripa.


L'8 febbraio del 1836, Ranghiasci diviene proprietario di un fabbricato acquistato dagli eredi Urbani e nel 1838 Angelo e Nazzareno Alessandrini gli vendono una casa in via degli Orti.

Il 19 ottobre dello stesso anno fa un altro acquisto dalla Società Vannucci Baglioni Adami di una casa da cielo a terra tra via del Guanto e via degli Orti. Sempre nel 1838 Maria Fiori gli cede un orto circondato da mura con casa in via della Ripa.

Dal 1838 al 1840 non si registrano presso il notaio Perugini altri acquisti, fino a quando il 22 agosto i fratelli Chiocci gli cedono una casetta con orto, e ancora il 30 luglio 1843 il conte Galeste Beni gli vende un orto con pozzo annesso sempre in via della Ripa. Nel frattempo oltre a comprare terreni, nel 1840 aveva acquistato una casa da cielo a terra in via degli Uffici e l'anno successivo un altro edificio di quattro piani, sito in via degli Uffici, evidentemente al fine di integrare il palazzo.

Dai dati ripresi dal fondo notarile, risulta evidente che i terreni necessari al parco furono comprati in un arco di tempo di dodici anni, durante il quale il marchese e la moglie Matilde ebbero modo di progettare i percorsi chiaramente individuabili nelI'impianto del catasto gregoriano in coincidenza dei grandi viali ellittici disposti nel terreno degradante.


Nel realizzare il parco, Ranghiasci non ebbe scrupolo di abbattere e modificare testimonianze storiche precise, quali per esempio la chiesa di San Luca, di proprietà dei Rosetti già nel catasto Ghelliano. Dalle memorie del fondo Armanni a proposito si legge alla data 1835: "l'al nei mesi di maggio, giugno e luglio di quest'anno è stata demolita gran parte della casa Rosetti (antico monastero di S. Luca) posta sulla strada che dal voltone di Corte conduce alla Ripa e ciò per volontà del Conte Ranghiasci cui Giuseppe Rosetti ha venduto la casa e gli orti per il prezzo di £ 1100".

In realtà i lavori al parco iniziano tra il settembre e l'ottobre del 1841 come apprendiamo dal sopracitato diario: "[...] è stata demolita la chiesa di S. Luca al pian terreno de la casa Rosetti che era l'antico monastero di S. Luca è stato demolito da cima a fondo meno la torre, che resta ancora in piedi quantunque isolata". La citazione èimportante poiché, oltre a non lasciare dubbi sul fatto che il conte sacrificava con una certa nonchalance le "memorie patrie" in altri casi energicamente difese, fa capire che è iniziato il programma di sistemazione del parco.


Nel 1842 Ranghiasci diviene Gonfaloniere e Loccatelli, parente del conte, dedicandogli un'orazione, indirizzata peraltro a "Matilde Ranghiasci Brancaleoni nata Hobhouse" rammenta, rivolgendosi al conte, "voi dovete essere il padre di Gubbio antica, siccome lo siete di Gubbio odierna".

I lavori per la sistemazione del parco continuano sicuramente fino al 1848.

Ci sembra interessante citare certe situazioni, ove, pur non comparendo in prima persona, si capisce come il marchese sia teso a promuovere tutta una serie di richieste per riparazioni alle strade e alle mura limitrofe alla sua estesa proprietà. Alle spese dei lavori prowederà spesso il Comune. A proposito basti citare la relazione del sopralluogo del messo comunale del marzo 1844, il quale sottolinea l'esistenza di una frana di muraglie in via della Ripa e il fatto che dalle mura castellane ogni giorno si distaccano, con grande pericolo, delle pietre smosse dall'acqua e dal gelo.


A distanza di quattro anni l'ingegnere comunale Giovanni Nini chiede che siano saldate le "spese per la riforma del verbale di collaudo relativo alla ricostruzione delle mura castellane presso le vigne del sig. marchese Ranghiasci". Le citazioni a riguardo potrebbero moltiplicarsi, certo esse rendono evidenti le piccole meschinità del marchese che muove pedine cittadine per sistemare al meglio le sue proprietà.


Il giardino è senz'altro costruito secondo i criteri stabiliti dai trattati alla moda, che forse nel momento della realizzazione sono persino superati. Nel parco, segnato dai grandi viali rotabili e dal verde contrastante degli ippocastani, dei tigli e persino degli acer. campestri, questi ultimi sono sistemati per portare pergole gonfie di uva; vengono adeguate preesistenti costruzioni e inserite vestigia d'antichità, di cui il marchese Ranghiasci doveva divenire conservatore.

Nel verde del giardino sono dislocati edifici neoclassici e si sistemano rovine medioevali, tessute e disposte tra le piante.

Esisteva il presupposto della varietà dei luoghi, raccomandato da molti estensori dei trattati ottocenteschi dei giardini; si doveva, quindi, cercare di utilizzare nel modo più adatto le varie curve di livello, segnandole attraverso culture ed edifici diversi culminanti in un tempietto. Tutti gli episodi architettonici inseriti nel giardino ad eccezione del grande villino in mattoni esemplato sullo schema della facciata del palazzo Ranghiasci, risultano ispirati da modelli antecedenti, largamente superati negli anni Quaranta.