La Torre Medioevale

Si giunge poi, in un luogo nascosto da alberi, alla torre medioevale disposta tra due viali.

La torre, come si è ricordato, faceva parte dell'antico complesso della chiesa di San Luca, distrutta dallo stesso Ranghiasci, che aveva preferito lasciare all'interno del parco questa testimonianza di ruinismo più che l'intero edificio.


Ancora oggi la parte terminale della torre si può vedere dalla piazza del mercato che sovrasta l'intera area verde del giardino.


Alla torre si poteva giungere anche attraverso la via carrozzabile, trovandosi in un punto focale del percorso. Nella parte bassa erano state aperte due grandi porte ad arco acuto, mentre nel piccolo atrio interno si presenta ancora oggi, per lo stupore degli ospiti, un grande mascherone classico, dai cui occhi filtra la luce.


Gli ultimi lavori di recupero hanno portato alla luce le opere di adduzione di acqua proveniente dal condotto del Bottaccione. L'accumulo di tale risorsa avveniva in un locale sottostante l'antica torre di altezza pari a mi. 6 da dove avveniva la distribuzione a tutta la città. Attraverso una scala interna si accede al piano superiore, da dove è possibile godere una vista unica sulla città.


La torre diveniva  elemento determinante del giardino, proprio come in altri parchi coevi, quali per esempio quello Torrigiani a Firenze, dove assume una connotazione simbolica anche più complessa.


Niente è lasciato al caso; vicino all'edificio "gotico" sono piantati alberi con chiome espanse. Secondo gli insegnamenti della scuola paesistica inglese l'edificio si raggiungeva attraverso una scandita successione di viali che sottolineavano l'idea del movimento. Questo concetto, com'è noto, risale al Repton, che scrisse sull'argomento tre opere assai importanti: Sketches and Hints on Landscape Gardening (1795), Observations on the Theory and Practice of Gardening (1803), Fragments on the Theory and Practice of Landscape Gardening (1806), poi raccolte nel 1846 in un unico libro.

Tuttavia l'impianto del giardino eugubino è volto, più che a sottolineare pienamente il significato delle composizioni, a cercare effetti immediati anche per superare l'impianto paesistico.


Proseguendo il percorso si sale verso le aree sistemate a orti dove erano coltivati soprattutto olivi e viti. Vi erano naturalmente alberi da frutta, quasi a offrire al visitatore, dopo i piaceri della vista, quelli del gusto e naturalmente del nutrimento, poiché la villa è per sua natura dispensatrice di un duplice piacere edonistico e utilitaristico.

Gli spazi degli orti erano definiti dalle mura cittadine, nonché dal grande "Ridotto" ora completamente recuperato.

Dalla torre si scende verso l'ingresso del parco dalla parte della dimora Ranghiasci. Qui si incontra una fonte in una nicchia, una volta arricchita da una statua in cotto, per poi giungere ai giardini domestici. Da un lato un'arcata in mattoni raccorda il muro di cinta a un tornante.


All'interno del grande percorso, oltre agli edifici segnalati, oggi ancora leggibili, intorno al 1870 vi erano altre emergenze architettoniche, come si apprende dalle Referte 680-726 del 1877 e dove si contano numerose "case dell'ortolano".

Ci sembra interessante la segnalazione nella particella 1010 di un edificio denominato "coffee house" oggi scomparso. Si può immaginare a tale proposito, una piccola struttura destinata, secondo la moda del tempo, alla consumazione del caffè.

Basti pensare, per più illustri modelli, al noto "Coffee house" dei Giardini del Quirinale.

Con molta probabilità, vista la sistemazione angolare della particella, potrebbe essersi trattato di una piccola terrazza prospiciente via della Ripa da cui godere il panorama medioevale.


Nel parco erano state fatte costruire serre, anche queste scomparse, destinate ad ospitare piante esotiche e fiori.

Morto il Marchese Ranghiasci nel 1877, smembrata l'eredità tra i figli e il fratello Giuseppe anche il giardino iniziò una lenta decadenza. Durante il fascismo fu destinato a colonia elioterapica, la cui sede fu proprio nella villetta principale; le serre, ridotte a docce, andarono successivamente in rovina. I vasi che segnavano i percorsi nei viali scomparvero quasi del tutto.


Nel 1951 il Parco fu ancora sede di un grande Ballo per il "Premio Giornalistico Gubbio" e poi lentamente l'edera e le altre piante infestanti hanno creato l'immagine esemplare di un ruinismo questa volta non concettoso.

Ci piace ricordare la voce della figlia di Francesco, Amelia, che in una lettera inviata dall'Inghilterra rivolgendosi ai parenti in Italia, alla fine dell'Ottocento, chiede quale sia la sorte dell'amato giardino.


L'artificioso giardino, esemplato su tipologie coeve, ha rispecchiato un modello consueto nelle sistemazioni paesistiche della metà dell'Ottocento.


Di questo erano ben consci i contemporanei. Basti citare, a proposito, un brano di Stefano Rossi che, riferendosi espressamente al giardino Ranghiasci, annota: "Ei non badò certo a spese per fare di un ingrato terreno tutto pietroso e dirupato, dove un amenissimo boschetto, dove passeggi serpeggianti ed ombrosi atti alle ruote de cocchi, dove virdario per esotici arbusti e per fiori di ogni stagione, e perfino il torrione del medioevo e le muraglie antiche di cinta della città, vestite dall'ellera sempre verde, rendono più svariata la scena della villa, e le danno quell'aria di romanesco e di guerriero, che pur piace di molto a di nostri agli infarinati di patetica letteratura, o a quelli che amano le drammatiche sensazioni".